lunedì 1 agosto 2016

Leonardo Sinisgalli







I critici chiedono alla poesia concetti e sistemi. Leggo acute analisi, m’informo di tutte le operazioni chirurgiche, alcune assai delicate ch’essi conducono con la benda davanti alla bocca per arrivare al midollo spinale del povero poeta smidollato. Gli attribuiscono capacità nervose, capacità intellettuali, capacità dialettiche. Cercano la logica nei poeti. E pensare che la filosofia dei poeti è una così povera cosa al confronto della loro poesia! La loro scienza non giova alla poesia quanto giova la loro innocenza. Il mio sforzo di scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza. Sono cresciuto negli anni senza guadagnare nessuna certezza che potesse servire da struttura alla mia poesia. Credo di non sapere ancora quale sia precisamente il mestiere del poeta. Non conosco una sola regola valida in ogni caso. I risultati buoni o cattivi non saranno mai prevedibili. Non ho mai chiesto alla poesia di aiutarmi a risolvere i miei problemi. La poesia, l’ispirazione, non ho avuto la possibilità e la pazienza di conformare il mio disordine ai loro capricci. Ho aspettato a ore fisse. Il poeta non predispone ma raccoglie. Le sue predilezioni possono sembrare sconcertanti, egli fabbrica le gerarchie sul momento. Non cerca la lepre, ma cerca l’unità. I versi hanno una concatenazione che non si rivela in superficie. Convergono verso un punto che le stratificazioni possono nascondere a qualunque scandaglio, un cuore introvabile. Spesso il critico è quel piccolo animale che strisciando sulla sfera non saprà mai giungere al centro perché non ne conosce la formula, la forma.


........................................................................................................................................................Da L’età della luna, Mondadori, Milano 1962, in L’ellisse, Poesie 1932-1972, a cura di Giuseppe Pontiggia, Mondadori, Milano 1974, pp. 95-96.