domenica 1 febbraio 2015

Francesco Bonami





Robert Ryman, Untitled, 1961 (Peter Blum Gallery, New York)


  Il pittore americano Robert Ryman ha trovato un metodo per usare proprio il niente nelle sue opere. Dipinge le sue tele interamente di bianco, ripetendo continuamente questo rito dell’artista desolato davanti al nulla che precede ogni creazione. A voi sarebbe mai venuto in mente?
   Il problema di questa arte è che si basa sull’idea, non sulla tecnica.
   Se nell’antichità la tecnica era fondamentale per sviluppare un’idea, oggi non lo è più. Se nelle botteghe dei grandi pittori gli allievi potevano seguire o ispirarsi allo stile del maestro, nell’arte contemporanea questo non è più possibile.
   Non possono esistere artisti che lavorano nello stile di Robert Ryman perché se ci fossero non farebbero altro che copie di Ryman. Cosa imparano da lui allora e cosa possono fare i suoi assistenti e allievi? L’insegnamento di Ryman è più profondo. L’artista in questo caso dice all’allievo: «Io non ho idee oltre la tela bianca e tu?». L’allievo deve quindi affrontare un problema che non riguarda solo Ryman ma tutti noi, vale a dire il dramma del vuoto e del modo in cui può essere colmato, nell’arte ma anche nella nostra vita quotidiana.
   Se la noia non era mai stata un soggetto dell’arte visiva ora lo può essere. Possiamo dipingere la noia, possiamo raccontarla attraverso immagini o con l’assenza d’immagini? Forse.
   Ma perché Ryman è un bravo e importante artista? Forse perché nello spazio convenzionale della tela, e non con un libro, riesce a trasmetterci qualcosa di profondamente vero?
   Il vuoto e la noia sono parte della nostra vita e forse è meglio degnarli di attenzione piuttosto che far finta che non esistano.
   Un quadro tutto bianco, che sciocchezza! Certo, apparentemente è una sciocchezza, nessuno può negare che tutti sono capaci di realizzare un quadro bianco, ma il punto è che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di farlo. Perché? Perché la maggior parte di noi tende a rimuovere dalla propria vita l’idea che il vuoto esista, che spesso quando siamo seduti in poltrona nella nostra testa non c’è nulla, solo uno spazio bianco.
   Noi occidentali siamo spaventati dal nulla, ma in altre culture esso attiene a una dimensione importantissima.
   Le nostre case sono piene di cose, e quando sono vuote ci sembrano squallide.
   Per un gran numero di persone un quadro di Ryman, rispetto a un’opera di Renato Guttuso, sembra del tutto insignificante, come il riso in bianco a confronto di una pasta all’amatriciana. Ma come milioni di persone nel mondo fanno del riso in bianco la base di tutta la loro cucina, allo stesso modo il bianco della tela di Ryman può essere considerato una base, sulla quale è consentito immaginare qualsiasi cosa.
   In un quadro di Guttuso non si può aggiungere o modificare nulla, e ciò non toglie che a volte saremmo tentati di buttarlo direttamente nella spazzatura.
   Su un quadro di Ryman la nostra fantasia può proiettare tutto, e per questo la sua opera è importante, perché consente allo spettatore di sentirsi di colpo libero di immaginare ciò che vuole. E compito dell’arte è proprio quello di farci sentire liberi.



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Da Lo potevo fare anch’io, Mondadori, Milano 2014, pp. 16-17.